Di fronte all’opportunità di un’esperienza di intercambio come quella che ho avuto la fortuna di trascorrere (5 mesi in un liceo argentino), ci sono due possibilità, e sono entrambe validissime.
La si può vivere da exchange student o la si può vivere da Aliceña.
Io mi sento un’Aliceña.
Ho impiegato un intero anno per convincere la mia famiglia a concedermi questa possibilità, e adesso che sono qui da 4 mesi mi sembra che l’esperienza tanto attesa non sia mai iniziata.o mi sento un’Aliceña. Certamente mi dispiace lasciare disattese le continue richieste di mia madre su whatsapp, ma non mi viene naturale scattare foto al panorama che trovo affacciandomi dalla finestra della mia camera, così come non avvertivo quest’impulso a Matera. Non sento il bisogno di entrare in contatto con gli altri studenti che sono arrivati qui dall’Italia, né di viaggiare nel weekend per visitare gli altri luoghi dell’Argentina: mi sento a casa.
Vivo ad Alicia, 4.000 abitanti nel cuore della provincia di Cordoba. È un paese abitato da anziani piemontesi e le loro famiglie, e non avrei potuto chiedere posto migliore per passare 5 mesi della mia vita.
Sono stati tutti contentissimi alla notizia dell’arrivo di un’italiana ad Alicia, dal primo giorno signori anziani sperano di poter parlare con me nel loro dialetto piemontese misto allo spagnolo che mi risulta purtroppo meno comprensibile del materano.
Sono stata anche più volte invitata ad un corso di italiano per parlare della mia città e della cultura del mio Paese, disimpegnandomi anche in una lezione sul Romanticismo. Se ci penso, è incredibile quanto credito mi abbiano dato.
La scuola è stata una delle mie più grandi fortune, frequento l’ “Istituto Domingo Faustino Sarmiento” e sono al quinto anno dell’ordinamento argentino. È un piccolo ambiente, in cui mi hanno sempre fatto sentire una comune alunna, una di loro, per quanto allo stesso tempo non mi siano mancate le attenzioni necessarie per una ragazza appena arrivata da migliaia di chilometri di distanza.
La mattina indosso l’uniforme, gialla verde e arancione e arrivo a scuola in bici. Le lezioni iniziano alle 7.30 e continuano il pomeriggio con una pausa pranzo in cui possiamo eventualmente anche tornare a casa. Altra differenza, la mia preferita, il sabato non si va a scuola.
Prima di iniziare le lezioni, tutta la scuola deve assistere a la alzada de la bandera, un evento di semplice traduzione e comunque di grande impatto.
Se mi è consentita un’annotazione di costume, ho avuto l’impressione che i concetti di patria, orgoglio nazionale, radici culturali siano privilegiati qui rispetto all’Italia.
C’è una giornata dedicata alla tradizione, in cui i ragazzi più piccoli indossano i vestiti dei popoli nativi dell’Argentina e devono parlare delle loro caratteristiche. In questa giornata ho rappresentato la mia classe, mi sono vestita da Paisana (la donna del Gaucho) e ho espresso il mio parere sull’invasione spagnola in Sud America, che mi è valso il premio per la miglior argomentazione.
Qui ho legato molto con tutti, non è un cliché, gli argentini sono un po’ come gli italiani del sud, molto calorosi. Dal primo giorno mi hanno fatto sentire una vera argentina, gli sono molto grata per questo.
La cultura aiuta molto, e influenza l’esperienza personale. Qui si usa molto riunirsi nel pomeriggio per studiare, bere mate. È bellissimo lo spirito di condivisione, tutti bevono dalla stessa cannuccia senza problemi, si mangia sul sottofondo di accordi di chitarra, con la compagnia della musica rock argentina.
Mi sono innamorata dell’Argentina e subito dopo mi sono innamorata degli argentini, e cioè della naturalezza con cui mi hanno saputo coinvolgere ancor prima che arrivassi, con le mail di presentazione, i messaggi, le foto. Se all’inizio potessi dubitare di un certo “senso del dovere” nell’accogliermi, la loro presenza affettuosa e costante è rimasta tale anche dopo avermi conosciuta, anche quando non ero più la novità del momento. In due parole, quando ormai non ero più una straniera.
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